Per quanto possa sembrare strano e contraddittorio, anche le Arti Marziali – con alle spalle una storia di centinaia, quando non migliaia di anni in cui sono rimaste sostanzialmente immutate nel tempo – nell’ultimo mezzo secolo hanno subito un deciso cambiamento nell’approccio di praticanti e semplici curiosi.
In questi ultimi decenni abbiamo visto fiorire gruppi di studio appassionanti ed analisi filologiche accurate dei metodi di combattimento – soprattutto di scherma – elaborati in Occidente dal Duecento in poi. Manuali come lo I.33 London Tower Fechtbuch, il Flos Duellatorum di Fiore de’ Liberi o l’Opera Nova di Antonio Manciolino – solo per citarne alcuni – sono passati dai convegni di studiosi di storia agli scaffali delle librerie ed alle sale d’armi dove, basandosi su scarne descrizioni e sommarie figure, sempre più entusiasti praticanti riproducono le tecniche rappresentate in questi manuali.
Di pari passo, a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso, in Occidente giunsero una impressionante quantità di pellicole cinematografiche provenienti da Cina e dintorni, basati su leggende locali e argomenti universali che da sempre fanno parte della storia dell’uomo: l’antagonismo tra Bene e Male, l’Eroe che salva la Principessa dalle grinfie del Cattivo di turno, il Buono accusato ingiustamente che fa trionfare la giustizia dopo molteplici traversie e via dicendo. Si trattava di film che oggi non supererebbero le maglie della censura, infarciti di stereotipi e soprattutto di violenza, che però crearono un vero e proprio genere e – soprattutto – avvicinarono moltissimi entusiasti spettatori al misterioso mondo delle Arti marziali orientali.
Ho avuto la possibilità di ampliare la mia conoscenza di queste pellicole grazie a “Il drago feroce attraversa le acque” , una piccola guida ai film di arti marziali realizzata da Riccardo Esposito che in 166 pagine elenca centinaia di film riportando il titolo originale, il cast la trama e – a volte – immagini e locandine.
Fu il periodo in cui Dojo e Kwoon spuntarono come funghi, riadattando alla bell’e meglio polverosi garage o umide cantine; luoghi che potremmo definire eufemisticamente spartani, in cui insegnanti spesso improvvisati illustravano tecniche improbabili in spregio ad ogni principio di biomeccanica e precauzione antinfortunistica.
Chi ha almeno sessant’anni saprà di cosa si parla, chi ne ha meno della metà non potrà neppure immaginare quale fosse il clima dell’epoca, diametralmente opposto a quello attuale, sin troppo frequentemente improntato ad una ipocrita e insulsa cultura woke che rischia di peggiorare e rendere ridicoli i problemi che vorrebbe risolvere.
Questo e molto altro mi è tornato alla memoria sfogliando il manuale che il Dott. Ciro De Siati – appassionato studioso e praticante di Karate – ha voluto lasciarmi in visione. Qualche decina di pagine che oggi farebbero venire i brividi ad un avvocato, costellate di colpi destinati a far svenire l’avversario, a procurargli svenimenti e fratture, a farlo cadere sui cocci di una bottiglia rotta, con le conseguenze facilmente immaginabili.
Condivido con voi queste pagine e questi ricordi, per suscitare la stessa nostalgia in chi quei tempi li ha vissuti e per raccontarli a chi ne è anagraficamente lontano e non immagina neppure che cosa allora si potesse fare senza la computer grafica e gli effetti speciali oggi creati digitalmente.