Fatte salve le comprensibili necessità pratiche della struttura fisica che lo ospita, un Dojo non ha porta. Ciò non significa, come alcuni purtroppo credono, che da un Dojo si possa entrare o uscire come e quando ci aggrada, incuranti delle attività che sono in corso, ma piuttosto che nessuno dovrebbe essere obbligato all’ingresso o all’uscita contro la volontà propria o altrui.

Fare il primo passo dopo la soglia dell’ingresso è – ovviamente – tutt’altro che esservi accettati, così come si può essere distanti da un Dojo per anni e chilometri, senza esserne in realtà mai usciti.

E’ una questione, in tutta evidenza, inspiegabile, non perché particolarmente astrusa, ma perché chi già la conosce non ha bisogno di ulteriori ragguagli e chi non la conosce non potrà scoprirne di più nonostante migliaia e migliaia di parole.

I praticanti hanno bisogno del Dojo per esercitarsi nella loro arte, e questo vuol dire ben altro che necessitare di quattro mura, un tetto ed un tatami; ma un Dojo, per vivere, ha bisogno di chi lo senta come parte della propria vita, di chi su quei tatami un po’ consunti, quelle armi di legno scheggiate, quegli spogliatoi sempre un po’ umidi si senta come a casa. Gli altri, nessuno si senta offeso, sono solo dei corresponsori della retta mensile, certo utili ma lontani anni luce da quello di cui il Dojo ha davvero bisogno per essere quello che deve davvero essere.

Ad un Dojo servono più cinque praticanti veri che cento iscritti scoglionati, perché è la qualità – e non la quantità – la misura di ciò che si è.

Un Dojo non obbliga nessuno ad esserci e non obbliga nessuno a restare, nessun Dojo-cho degno di questo nome condannerà mai un allievo perché all’Arte che si trasmette sul tatami preferisce la musica dodecafonia, la geografia astronomia, la filatelia o la visione compulsiva di video di Kim Kardashian. L’Arte ti sceglie e si sceglie e nessun obbligo potrà mai durare per sempre.

Così, è giusto ed opportuno che chiunque si senta libero di lasciare il Dojo, quando ritenga che nulla più potrà dare o avere ai compagni di pratica; è giusto ed opportuno essere sinceri con sé e con gli altri, perché prima di ogni tecnica, ciò che sul tatami bisognerebbe apprendere è ad essere leali, anche quando è tutt’altro che comodo e piacevole per il nostro Ego.

E’ giusto ed opportuno andare, quando si ritiene giunto il momento di andare, e – magari un giorno – di tornare, se si riterrà giusto ed opportuno farlo, tenendo però a mente che non è detto che quella porta senza porta si riapra una seconda volta per noi.