Diversi marzialisti incorrono in un errore di valutazione che rischia di falsare la visione ed i principi dell’Arte praticata, considerando le tecniche e gli esercizi che vengono insegnati all’inizio dell’addestramento non tanto come fondamentali quanto come elementari. In altre parole, in ogni Arte vi sono delle tecniche o degli esercizi che vengono ripetuti con frequenza continua, poiché racchiudono – in maniera più o meno evidente – le “chiavi” di accesso alla comprensione di tecniche e principi più complessi.

Volendo fare un esempio scolastico, è un po’ come se ad ogni inizio di lezione di matematica si ripetessero i principi ed alcuni esercizi di addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione.

Il metodo classico di insegnamento orientale prevede “poco parlare e molto fare” percui più che grazie alle scarse indicazioni dell’istruttore, l’allievo impara con la ripetizione costante e continua del gesto e della tecnica, sgrossando mano a mano le imperfezioni e “ritagliandola” sulle proprie caratteristiche. Come una casa non può reggersi senza solide fondamenta, così una tecnica complessa rischia di fallire miseramente se non si basa su dinamiche e principi fondamentali e ben comprese.

Nella pratica del Daito Ryu Aiki Budo questa modalità di addestramento trova ampia applicazione nel “jumbi taiso”, momento iniziale di ogni sessione di pratica che prevede una sequenza di esercizi in parte fissi ed in parte variabili miranti a migliorare le abilità di esecuzione di ukemi, prese, atemi, parate, spostamenti e loro successive combinazioni, oltre che ad ottenere un primo riscaldamento muscolare e scioglimento articolare propedeutico alla pratica delle tecniche. Nello specifico si inizia con lo studio sul posto di atemi (percosse) di mano con il palmo chiuso a pugno e aperto a taglio, sia con la mano sinistra che con la destra. Si passa poi ai calci, in avanti, laterali e all’indietro, sempre facendo lavorare sia la gamba destra che la sinistra.

Terminala la serie degli atemi, si passa alle parate, sempre sul posto; poi spostamenti in linea diagonale (sankaku-tobi) e circolari (tai sabaki). Terminato il lavoro sul posto, si passa ad un livello successivo in cui gli atemi di calcio e pugno vengono portati in movimento, tipicamente con i praticanti in fila circolare che percorrono il bordo del tatami (un passo, un atemi). Dopo il lavoro individuale arriva il momento degli esercizi a coppie, in cui un praticante colpisce e l’altro fa da bersaglio, sempre in movimento da un bordo all’altro del tatami. Portatosi a distanza tori colpisce uke con un atemi di calcio o di pugno, dopo aver subito la percossa uke arretra, tori avanza e colpisce ancora e così via. Arrivati a fine tatami, i due praticanti invertono i ruoli e riprendono l’esercizio percorrendo il tatami in senso inverso.

Oltre agli atemi classici, in questa fase si possono poi sviluppare varianti con parate e contrattacchi, evasioni e così via. Le fasi finali del jumbi taiso prevedono lo studio dei movimenti in shikko, delle varie ukemi ed anche del ”Aiki tanren”, esercizi utili – come dice il nome – per “forgiare l’aiki” per concludere con una serie di “aikinage” (tecniche che gli aikidoka solitamente conoscono come kokyunage) con i praticanti in fila che attaccano uno alla volta un compagno con tentativi di presa o atemi, neutralizzati dal tori di turno con proiezioni e nage. Esaurita la fila si cambia il praticante che subisce gli attacchi sino a che tutti hanno praticato nel ruolo di tori.
In maniera del tutto similare si procede anche nella pratica armata, che comincia con l’esecuzione “a vuoto” (ovvero senza bersaglio) di una serie di fendenti shomen utili anche questi a sciogliere le giunture ed a riscaldare i muscoli.

Dopo la pratica individuale si passa a quella a coppie, detta uchikomi geiko, dove si impara a colpire correttamente i vari bersagli utilizzando le varie tecniche, con il compagno che subisce l’attacco che offre una apertura di guardia (suki) oppure non si oppone all’attacco che è concordato in anticipo e indicato dall’istruttore. Successivamente si passa ad una pratica più “dinamica” in cui un praticante attacca ed il compagno para e contrattacca; solitamente l’attacco è shomen, yokomen oppure tsuki e le parate possono essere kiri-otoshi oppure suriage seguito da uno shomen. In queste due ultime modalità di pratica è importante che si cerchi la maggior varietà possibile di azione, percui è opportuno che i componenti delle coppie varino periodicamente, scambiandosi al termine di ogni serie di esercizi.

E’ evidente che queste brevi note non possono e non vogliono avere l’obbiettivo di illustrare compiutamente le diverse modalità di pratica, che è compito destinato all’istruttore sul tatami; lo scopo è piuttosto quello di ricordare a tutti i praticanti, più o meno esperti, l’importanza degli esercizi fondamentali alla base delle tecniche studiate, con la consapevolezza che quando si crede di non avere più nulla da imparare, si smette di migliorare.