Questo scritto – a metà tra il ricordo nostalgico, il pippone filosofico e il saggio etnoantropologico – nasce come risposta ad uno stimato insegnante che sulla sua bacheca facebook scriveva in maniera più o meno ironica del “nikyo sayonara”. Io sono il primo a ridere e scherzare sul tatami e sono l’ultimo che può ammannire insegnamenti ad altri, specie a chi pratica sul tatami da ben più tempo di me. Quindi quanto segue deve essere letto solo come una testimonianza personale ed un modesto tentativo di illustrare un aspetto affatto singolare della pratica marziale.

Intervengo rarissimamemte in queste discussioni, non perché non siano interessanti ma perché – ahimè – il tempo che posso dedicargli è assai ridotto.
Ciascuno è ovviamente libero di considerare infantili sadomasochisti quattro adulti che si torcono i polsi e versano e si fanno versare della birra in gola. Pratico il tatami da un numero di anni sufficiente per essermi sentito affibbiare le etichette più diverse, e se ancora non mi hanno sottoposto ad un TSO è forse più per fortuna che per altro.
Ho un fratello che va in barca a vela in pieno inverno ed un padre che a quasi ottanta anni va a zappare in campagna; evidentemente in famiglia ognuno ha le perversioni autolesioniste che si merita.
Ciò premesso, mi permetto di dissentire sul considerare la pratica del nikyo sayonara come un mero “scimmiottamento” di quanto faceva Saito Morihiro sensei ad Iwama (e non perché – sia chiaro – non sia consapevole di quanti “imitatori” dei Maestri passati ci siano sui tatami di questo mondo).

Per me, e – ribadisco – per me, la pratica del nikyo sayonara, quelle poche volte in cui vi ho partecipato, è stato un momento ironico e goliardico liberamente scelto (e mai imposto) in cui a nessuno è mai passato per la testa di voler imitare il compianto Saito Morihiro sensei. Se a qualche cosa del Maestro ci siamo ispirati, è stato nel suo approcciare alla pratica e ai compagni con cui la condivideva in maniera certamente attenta e rigorosa, ma altrettanto “lieve” ed ironica.

Ho ancora nei miei occhi (e forse ci sarà anche nel DVD che riprende quell’evento) l’ultimo seminario diretto a Ostia da Saito Morihiro sensei, il suo salire a fatica sul tatami, il suo piegare le ginocchia stanche con una forza muta me percepibilissima, ma ho soprattutto negli occhi il suo sorriso quando, mentre spiegava l’esecuzione del sankyo da ushiro ryotedori, ha eseguito una henka waza sorprendendo il suo uke. Un sorriso – quello del Maestro – non di scherno verso uke, non di superiorità verso chi lo osservava come a dire “io so’ io e voi nun siete un chin-chin”, ma un sorriso di gioia, un sorriso che chi lo ha conosciuto avrà visto tante volte, il sorriso di chi ancora, dopo decenni di pratica, trova sul tatami spunti per divertirsi e far divertire.


Potrei credere che questa sia una mia impressione personale, ma in tanti, che hanno conosciuto Saito Morihiro sensei meglio di me, mi confermano questo suo aspetto “umano, troppo umano”, ed a chi sostiene che “verba volant, scripta manent”, consiglio di dare una occhiata alle prime pagine dei due libri che Ethan Weisgard sensei dedica allo Aiki jo ed allo Aiki Ken; leggerà la testimonianza di questo preparato Maestro e vedrà una foto in cui Ethan sensei indossa un buffo cappello di fronte a Saito Morihiro sensei, mentre entrambi ridono di gusto.

Questa credo che sia una delle più belle e commoventi testimonianze dello spirito della Via che io abbia mai visto; Ethan sensei avrà certamente centinaia di foto che lo ritraggono con il Maestro, eppure ha scelto quella per testimoniarne lo spirito, un motivo ci sarà… (e pur consapevole della “excusatio non petita”, cito Ethan Weisgard sensei, insegnante che stimo ma che ho incontrato direttamente poche volte, per evitare le solite accuse di schieramenti partigiani a favore dei Maestri italiani che seguono la didattica di Saito Morihiro sensei e che mi onoro di seguire più frequentemente)

Ecco, se dovessi oggi spiegare a mio fratello (che mi definisce come “uno che fa cose strane, vestito strano, che dice cose strane, facendosi del male contento di farlo”) userei quella foto e quella del mio nikyo sayonara da me “subito” tanti anni fa, che fu la chiusura di una bella cena con Maestri ed amici.

Per me il nikyo sayonara è un modo di esprimere fiducia e rispetto, fiducia da parte di chi lo subisce verso chi lo applica, rispetto da parte di chi lo applica verso chi lo subisce, il tutto in una atmosfera conviviale ed allegra. Esattamente quello che per me è stato ed è lo spirito della pratica mostratomi dai miei Maestri e che io cerco modestamente di trasmettere ai miei allievi.

Mi si chiederà del perché della birra… beh, questo è un Okuden che non può essere svelato pubblicamente!

(A chi voglia approfondire alcuni aspetti meno noti della pratica di Iwama e dello spirito del Maestro Saito Morihiro, non posso che consigliare la lettura di questo prezioso contributo: http://www.iwama-aikido.com/articles/iwamawisdom.html)