Chi un po’ mi conosce spero abbia compreso quanto io ritenga interessante e fruttuoso il confronto, che può essere quasi sempre un utile strumento per ampliare le proprie conoscenze, confermarle o – addirittura – modificarle.

In un mondo, come quello marziale, dove spesso l’ortodossia sfocia nel fanatismo e la fedeltà al proprio insegnante o alla propria Scuola porta a credere che la Verità (ovviamente con l’iniziale maiuscola) appartenga solo ad uno, è ancor più interessante avere la possibilità di discutere con persone che alla indubbia preparazione tecnica affianchino una non comune capacità di esporla in belle lettere. Gianluca Zanini è tra gli interlocutori più piacevoli in cui io abbia avuto la ventura di imbattermi, ed il riproporre questo suo scritto di fine 2007 spero valga a pungolarlo verso la conclusione delle opere a cui si sta dedicando da un po’ di tempo.

Il Caravaggio è una tra le tante figure storiche appartenenti al mondo delle arti figurative e letterarie rinascimentali che in qualche modo sono coinvolte, nel bene e nel male, nella scherma di quel periodo, vale a dire la scrimia. Personaggi come poeti o pittori che hanno nel nostro immaginario collettivo una indefinita collocazione culturale-scolastica, molto spesso distante dalla realtà storica in cui vissero, e che si rivelano poi come temibili schermidori o irascibili rissaioli, è una di quelle amene scoperte che mi hanno sempre dilettato e spronato ad approfondire l’argomento alla ricerca di curiosi avvenimenti.

Penso possano anche incuriosire i marzialisti risvegliando alcune reminescenze scolastiche della storia dell’arte italiana. Michelangelo Merisi da Caravaggio fu uno di questi spadaccini/schermidori, frequentatore di taverne e prostitute, oltre ad essere ovviamente un quotato pittore del suo tempo. E’ abbastanza risaputo che avesse un caratterino non proprio facile e che più volte fosse coinvolto in risse e duelli, e si sa anche che fu più volte ferito e che uccise un tizio a Roma passandolo a fil di spada. A causa di ciò dovette fuggire e guardarsi le spalle per il resto della sua vita. Purtroppo mi erano sempre mancati i particolari tecnici.

Ma addentriamoci nei particolari delle “attività ricreative” del Caravaggio e a quei remoti accadimenti: Una delle sue modelle e amiche fu quella santa donna chiamata Fillide, che di professione faceva la prostituta d’alto bordo, cioè la cortigiana.

Il nostro beneamato pittore aggredisce uno dei suoi corteggiatori alle spalle con un colpo di spada alla testa. Si fa qualche mesetto di galera, ma dopo qualche tempo sulla strada che porta alla sua osteria preferita, viene aggredito da 4 persone dove riporta una grave ferita alla testa da arma da taglio. Alle autorità dirà che è caduto dalle scale con la spada e si è ferito. Fin qui poco male, passa il tempo tra quadri, calici e cazzeggiamenti vari, poi un bel giorno sempre a Roma in via della Pallacorda dove amava oziare e giocare, si incontra con Ranuccio Tomassoni, uno degli ex della Fillide. Sempre questi ex di mezzo.

I due che non si erano mai piaciuti si scontrano verbalmente e ne nasce una discussione animata, volano insulti e sacramenti vari. Il Caravaggio, che non molla, qualche tempo dopo ritorna con due amici tutti armati di spada ai campi da gioco nella stessa strada, territorio del clan Tomassoni. L’affronto è grave e il Ranuccio scende in campo con il fratello e due cognati, famosi per il carattere violento. Si incontrano nei campi da gioco, volano santi e madonne finche si sfoderano le spade.

Qui i biografi sono discordi, alcuni affermano che fu un duello uno a uno, mentre altri che fu una rissa generalizzata. Comunque sia lo scontro tra Michelangelo e Ranuccio pare essere molto lungo e quest’ultimo seppure dieci anni più giovane del primo, pare avere la peggio: mentre si ritira sbaglia un passo o scivola e quella buon anima del Caravaggio gli è subito sopra. Non intende ucciderlo, ma forse ancor peggio, vuole evirarlo e recidergli i gioielli di famiglia.

Purtroppo (per entrambi) sbaglia e colpisce la parte alta della coscia recidendo l’arteria femorale. Il cognato del Ranuccio balza sul Caravaggio e gli mena due fendenti che lo feriscono alla testa al collo, viene allora il suo amico, detto “Il Capitano”, in sua difesa e si procura ferite alla caviglia, coscia e spalla. Poi tutti scappano e il Ranuccio morirà di li a poco. Il Caravaggio è bandito da Roma a vita e su di lui pende una condanna a morte, che ai tempi chiunque poteva somministrare senza conseguenze. Mentre gli altri rimangono esiliati per tre anni.

In seguito a Napoli, dove aveva trovato rifugio, il Caravaggio – probabilmente per una vendetta – viene aggredito nottetempo da un gruppo di persone che lo sfregiano in faccia a tal punto da renderlo irriconoscibile secondo la versione del suo medico.