Abbiamo spiegato in un altro scritto i motivi che di portarono a scegliere il nome di Fenice Rossa per la nostra associazione. Tenendo presente quanto già scritto allora, spieghiamo adesso il perché le due sale destinate alla pratica delle attività sportive e motorie destinate ai soci sono state denominate rispettivamente Drago verde e Tigre bianca.

Ricordiamo che nella astrologia cinese le ventotto costellazioni attraversate dalla Luna durante la sua rivoluzione dividono la sfera celeste in quattro quartieri, ognuno dei quali è protetto da un guardiano: a sud troviamo la Fenice Rossa, a Nord troviamo la Tartaruga Nera, a est troviamo il Drago Verde e a Ovest la Tigre Bianca, e sembrerebbe quindi quasi scontato e doveroso dare questi nomi alle sale che danno l’una a Oriente e l’altra ad Occidente.

In realtà, fatta salva la motivazione strettamente geografica, la scelta è stata operata considerando la tipologia delle discipline praticate nelle rispettive sale. Così Drago verde è la sala più piccola, dedicata principalmente alla pratica delle Arti interne cinesi del Vecchio Stile Fu, secondo la didattica del M° Severino Maistrello, allievo interno e rappresentante per l’Europa del Gran Maestro To Yu.

Tai Chi Chuan, Qi Gong, Ba Gua Zhang, pur nelle loro specifiche peculiarità, si basano su movimenti elastici ed avvolgenti con traiettorie spiraliformi come quelli di un drago, animale mitico che peraltro è richiamato spesso nella nomenclatura di esercizi, forme e tecniche.

Il Drago verde è il guardiano dell’Est ed è associato alla primavera, ai colori blu e verde (considerate sfumature di un solo colore), e l’elemento legno (in Giappone l’elemento buddhista acqua); sostiene e difende il Paese (controlla la pioggia, simbolo del potere imperiale). Spesso è accoppiato alla Fenice Rossa, perché entrambi rappresentano sia il conflitto sia la gioia del matrimonio, tanto che sia in Cina che in Giappone il drago è simbolo dell’imperatore e la fenice dell’imperatrice.

Mentre nella mitologia e simbologia occidentale il Drago, visto come una specie di serpente alato, ha una valenza quasi sempre negativa, rappresentando l’incarnazione del Male, la Bestia che divora fanciulle offertegli in sacrificio per placare la sua furia, una creatura portatrice di morte e distruzione. In Oriente invece il Drago è una creatura portatrice di fortuna e bontà, rappresenta la capacità di adattarsi agli elementi costituenti l’Universo, poiché vola nell’Aria, nuota nell’Acqua, cammina sulla Terra e padroneggia il potere del Fuoco. E’ quindi una creatura solitamente molto vecchia e saggia, disposta ad aiutare chi gli si rivolga con animo sincero. Pur nelle varie rappresentazioni iconografiche, solitamente il Drago cinese o giapponese è raffigurato come un animale dal corpo lungo e serpentiforme, ricoperto da peluria e da squame, a volte senza ali ma comunque capace di volare. Ha il muso da coccodrillo, il corpo da serpente, la criniera e gli artigli da leone; tipicamente possiede sul muso dei lunghi baffi filiformi e una cresta che lo percorre in tutta la sua lunghezza, lungo la schiena.

Detto della sala dedicata al Drago verde, passiamo a spiegare il motivo della dedica alla Tigre bianca per la sala destinata alla pratica delle discipline di origine giapponesi quali Ju Jitsu, Takemusu Aikido e Daito Ryu Aikibudo. Per farlo dobbiamo fare un lungo salto indietro nel tempo e nello spazio e tornare al periodo della storia giapponese che va dal 1850 a 1868, caratterizzato da molte battaglie, dalla caduta dello shogunato Tokugawa, dalla fine del feudalesimo e dall’avvio della rapida modernizzazione nipponica. Numerose guerre furono combattute in questo periodo, e benché il feudalesimo venisse rapidamente eclissato, vi furono notevoli e significativi esempi di aderenza al “Bushido”, la Via del Guerriero, specialmente tra le file del clan Tokugawa, dove molti combattenti rimasero leali alla loro causa nonostante sapessero bene di combattere una battaglia disperata.

La “Battaglia di Aizu”, nella vecchia provincia di Shimotsuke del Giappone settentrionale, fu uno degli eventi più significativi in proposito, anche a causa del fatto che l’intera popolazione si riunì al seguito del suo signore e partecipò attivamente alla battaglia stessa, tanto che alcuni continuarono a combattere anche dopo che il castello fu conquistato dagli avversari.

Aizu-Wakamatsu, che attualmente è nella prefettura di Fukushima, fu la capitale del feudo di Aizu ed il punto focale della ultima battaglia combattuta nel periodo Bakumatsu (letteralmente: “fine dello Shogunato”). La città era cresciuta intorno al castello originariamente chiamato Kurokawa-jo, costruito nel 1384 da Asahina Naomori, ma la maggior parte dell’abitato risaliva al 1590, quando Gamo Ujisato rinominò il castello Tsuruga-jo (conosciuto oggi come Wakamatsu-jo). Dopo la imponente battaglia di Sekigahara nel 1600, venne fondato lo shogunato Tokugawa ed il castello fu donato alla famiglia Matsudaira, facente parte del clan Tokugawa. Nel periodo Bakumatsu il daimyo di Aizu era Matsudaira Higo no Kami Katamori, che aveva anche il titolo di “Signore Protettore di Kyoto” (conosciuta anche come Miyako, la antica capitale imperiale). Dal 1864 al 1867 il daimyo fu quasi sempre a Kyoto, supervisionando la Kyoto Shugoshoku (commissione militare) che manteneva la città in pace e le strade relativamente tranquille e libere dagli “Ishin Shishi”, samurai rivoluzionari che si opponevano al potere dello Shogun.

Nel 1867, Tokugawa Yoshinobu, l’ultimo shogun, rassegnò il potere nelle mani dell’Imperatore, restituendogli l’effettivo comando del paese. Il principe di Satsuma, Shimazu Hisamitsu, decise di non seguire il declino dello shogun e cambiò fazione, schierandosi al fianco dei Choshu nella guerra contro le forze ancora fedeli allo shogun. Le fortune del clan Aizu in Kyoto mutarono al peggio, e dopo una sonora sconfitta nella battaglia di Toba-Fushimi, il daimyo non ebbe altra scelta di ritirarsi. A questo punto i consiglieri proposero di dichiarare la sua obbedienza all’Imperatore ma Matsudaira Takayasu, fedele fino in fondo alla sua scelta rifiutò, decidendo di combattere sino alla fine in difesa del vecchio ordinamento.

Questa decisione segnò il destino del clan Aizu e nel luglio del 1868, il castello di Nagaoka, a sud-ovest di Aizu, cadde dopo un lungo assedio, nonostante i difensori fossero armati con i nuovi fucili “Gatling”. Così il dominio di Aizu si trovò nel pieno della tempesta che si avvicinava ed il 23 agosto del 1868, la battaglia di Aizu cominciò. Le forze del clan vinsero diversi scontri sotto il comando di Sagawa Kampei, che organizzò delle truppe di assalto che con delle sortite notturne causarono notevoli perdite nelle file nemiche, in particolare tra gli artiglieri, che persero circa la metà degli effettivi. Durante il giorno però, il castello di Tsuruga subiva il fuoco della artiglieria nemica piazzata vicino al monte Oda e le donne e i bambini combattevano le fiamme sotto il comando di un gruppo di soldati appositamente addestrati provenienti da Edo. C’era inoltre un monaco buddista chiamato Nikkai che si era arrampicato sulla torre del castello e, pregando il Buddha Amida, suonava la campana ogni ora, giorno e notte, confortando i combattenti e comunicandogli che il castello ancora resisteva. Nonostante l’assedio, la gente di Aizu si difendeva tenacemente, senza nessuna speranza di aiuto dall’esterno, specialmente quando il resto delle forze ancora leali allo shogun sotto la guida dell’ammiraglio Enomoto Takeaki fu bloccata nel porto di Hakodate nel sud di Ezo (l’attuale Hokkaido).

Il Bushido, l’antica Via del Guerriero, era durata secoli; attraverso gli anni si era adattata alle circostanze sociali ed al clima politico segnati da eventi quali rivoluzioni, invasioni straniere, introduzione di nuove tecnologie. La battaglia di Aizu mostrò che, a dispetto della superiorità nemica in termini di uomini e armi, la Via del Guerriero e le tecniche e gli insegnamenti ad essa correlati, erano così inculcate nella psicologia della popolazione di Aizu e di diverse altre regioni nipponiche che moltissime persone, nonostante non appartenessero alla casta dei samurai, rifiutarono di tradire il loro Signore ed il clan e rimasero fedeli combattendo sino alla fine, in Aizu nel 1868, ad Hakodate nel 1869, o a Satsuma nel 1876.

Una citazione di Nabeshima Naoshige, il principe che nel XVII° secolo governava l’omonimo dominio nell’isola di Kyushu, può appropriatamente riassumere la battaglia di Aizu: “I guerrieri non furono gli unici a morire. Tutte le classi della popolazione conoscevano il loro dovere”.

Uno dei più famosi gruppi di combattenti del Clan Aizu fu il battaglione “Byakko-tai” (“Tigre Bianca”) composto da una quarantina di ragazzi sedicenni. Se oggi può stupire la giovane età di questi soldati, bisogna considerare che normalmente un samurai iniziava il servizio intorno ai quattordici anni e che il famoso generale Takeda Shingen prese il potere a diciassette anni con un colpo di stato con cui spodestò il padre folle, che lo maltrattava e gli preferiva il fratello minore.

Il battaglione faceva parte della guardia d’onore del clan e chiese ed ottenne di partecipare all’ultimo scontro a fianco dei più adulti samurai dei gruppi “Shujakutai” (Passero rosso), “Seiryutai” (Drago azzurro) e “Genbutai” (Roccia nera). Era la battaglia di Boshin-no-eki del 23 agosto ed ai ragazzi della seconda squadra, la “Shichu Byakkotai” (composta dai figli dei samurai di grado elevato), venne ordinato di raggiungere la zona di Tonoguchi al seguito del generale Katamori. All’una di pomeriggio i ragazzi raggiunsero la prima linea sotto una pioggia battente e concentrarono il fuoco sul nemico che sferrò un pesante contrattacco, causando diciotto morti tra le fila dei ragazzi e costringendo i superstiti alla ritirata. Questi passarono attraverso un tunnel della diga di Tonoguchi e raggiunsero il monte Iimori, dall’alto del quale videro il castello di Aizu in un mare di fiamme. Stremati dalla battaglia e sgomenti per il crollo del loro castello e per la supposta morte del loro daimyo (che invece si era rifugiato in un tempio buddista), i ragazzi optarono per un onorevole suicidio piuttosto che per la resa al nemico poiché, nella antica tradizione nipponica, i guerrieri il cui principe fosse stato ucciso dovevano eseguire il suicidio rituale per seguirlo nella morte oppure vivere nel disonore e con questa decisione, a dispetto della loro giovane età, i ragazzi della Byakkotai mostrarono la loro dedizione al Bushido. La battaglia però, benché ormai persa, in realtà continuò altre quattro settimane, e il castello, che non era in fiamme come avevano creduto i giovani, era ancora in mano degli Aizu-Takeda. Le madri coraggiose fecero all’alba un lungo viaggio per andare a raccogliere le salme dei loro figli; i diciannove ragazzi, tutti morti meno uno ancora in vita nonostante il profondo squarcio del ventre, giacevano allineati con la faccia rivolta verso il castello del loro principe, in segno di estremo saluto. I superstiti all’interno del castello, nell’esempio dell’eroismo delle giovani squadre, scelsero di continuare a combattere sino all’estremo sacrificio, e come in passato, donne e bambini commisero seppuku prima della caduta definitiva del castello. L’unico superstite della Byakko-tai, Iinuma Sadakichi, fu trasferito nella città costiera di Sendai e non fu più in grado di tornare a casa fino al momento della sua morte quando, come richiesto nel suo testamento, fu seppellito sulla stessa collina dove riposavano le salme dei suoi coraggiosi compagni.

Ovviamente oggi a nessuno potrebbe essere richiesto un simile sacrificio, ma abbiamo ritenuto opportuno dare questo nome alla sala non solo perché è nel clan Aizu – Takeda che ebbe origine e sviluppo l’Arte oggi conosciuta come Daito Ryu Aikibudo, che fu a sua volta alla base dello svilutto dell’Aikido, ma anche per ricordare che qualunque compito ci prefiggiamo, deve essere perseguito con costanza e determinazione.

Concludiamo ricordando che la Tigre bianca (o “di giada”) è la Guardiana dell’Ovest, è associata con l’autunno, il colore bianco, e l’elemento metallo (in Giappone l’elemento buddhista vento). Per i cinesi la tigre era il re di tutti gli animali e signora delle montagne, così la giada della tigre era un ornamento riservato a comandanti di eserciti. In particolare la tigre maschio era dio della guerra e proteggeva le armate dell’imperatore in battaglia, oltre che i demoni nella sua tomba.