Parlando di pratica praticata, è il caso di sottolineare l’importanza che i Maestri hanno per noi allievi: un maestro è simile a una guida di alta montagna, che deve condurre una cordata fin sulla cima. Si tratta di una grande responsabilità che richiede molta disciplina. Durante la salita, la guida non può fermarsi lungo il percorso per chiacchierare con le persone che sta guidando, sorridere o dar loro delle pacche sulle spalle per farle contente. Deve invece tenere gli occhi fissi alla meta ed andare dritto verso di essa.

Praticare un Arte marziale è come scalare un’alta montagna, una disattenzione può essere fatale e, per quanto il percorso possa sembrare facile e conosciuto, ciascun partecipante alla cordata deve essere attento e concentrato, sia per assicurare la propria ed altrui incolumità, sia per godere e apprezzare al meglio quello che la scalata offre; essere distratti, chiacchierare, pensare ad altro può essere pericoloso e, nella migliore delle ipotesi, ci distrae da quanto ci circonda “qui ed ora”, così che, tanto varrebbe, raggiungere la vetta della montagna che si sta scalando in funivia o elicottero. Il Maestro sul tatami è per questo, prima di tutto: un esempio per i propri allievi, che esprime senza parole il concetto che un Arte, qualsiasi Arte degna della iniziale maiuscola, non è e con può essere un hobby o un passatempo che si pratica quando si ha tempo o voglia, un Arte è una scelta che deve maturare nel profondo e che ogni giorno deve essere confermata; praticare un Arte non è una passeggiata per diletto nel centro cittadino, durante la quale possiamo passare da una vetrina all’altra, da un marciapiede a quello a fianco per salutare un amico o incontrare un conoscente, un Arte è appunto una scalata in alta montagna, a cui ognuno partecipa coscientemente ed al meglio di sé, sapendo che una volta cominciata non può e non deve cambiare direzione.

Quando si parla di un Arte marziale, bisogna essere consapevoli che il Maestro non trasmette niente altro che non la forma esterna della tecnica, perché solo questa può mostrare, mentre sta poi a ciascun praticante (ap)-prendere quella tecnica, comprenderne i principi e farla propria. Il problema di molti è che confondono l’indicazione della direzione con i passi stessi da compiere nella direzione, il viaggio vero e proprio con il percorso tracciato sull’atlante, le emozioni del tragitto con il racconto fatto da chi l’ha compiuto.

Per quanto valgano libri, siti internet, videocassette e ausili didattici vari, le tre cose che aiutano ad avanzare nel cammino sono sempre e solamente le stesse: pratica, pratica, pratica. Una pratica che nessuno, per quanto bene intenzionato o preparato può affrontare da solo, senza guida, col rischio di imboccare un vicolo cieco o, peggio, un precipizio. Non a caso abbiamo fatto così spesso riferimenti alla montagna; diversi termini giapponesi che identificano un maestro o un istruttore di livello superiore (shihan, shisho, renshi, kyoshi, hanshi) hanno in comune il termine shi, il cui radicale è “collina”, a cui altri segni aggiungono il concetto “una pianta che cresce”.

Dall’alto della collina costituita dalla sua esperienza, il maestro osserva, impartisce istruzioni, guida e corregge da una posizione apparentemente defilata ma che consente una visuale migliore e più ampia, al pari dei generali dei secoli passati che, proprio dalle colline, osservavano e comandavano gli spostamenti delle truppe sul campo di battaglia con pochi gesti della mano.