Se è vero che sui samurai giapponesi si sono scritte in passato (e non solo…) molte cose inesatte per non dire palesemente false o esagerate, è altrettanto vero che ancor più questo vale per i praticanti del ninjutsu, a cui una letteratura fantasiosa e interessata, unita a leggende popolari dure a morire, ha attribuito tanto poteri fantastici quanto capacità sovrumane. Per fortuna oggi la Rete permette non solo la diffusione di bufale e spam, ma anche la condivisione di informazioni e conoscenze con modi e tempi impensabili anche solo pochi anni fa, così per affrontare uno degli argomenti forse più controversi ed affascinanti dell’Arte degli shinobi abbiamo chiesto aiuto ad Alessandro Viviani, Shidoshi della Bujinkan, che ringraziamo per la sua gentile disponibilità e per la sua cortese collaborazione. L’articolo originale risale al 2008 e lo riproponiamo, previo permesso dell’Autore, così come fu scritto allora, sperando di poter contribuire a chiarire alcuni aspetti di questa affascinante Arte. (NdR)

La forza del kuji

L’utilizzo dei kuji (nove sillabe) è stato largamente sfruttato per creare la figura mitica del ninja nei manga, nei film e ha influenzato l’immagine che la gente ha del ninjutsu. E’ una delle abilità ninja più esotiche: incrociare le dita, pronunciare parole magiche e il nostro eroe scompare come un fantasma o si trasforma in un ratto o un corvo. C’è sempre un fondo di verità nel cuore di ogni fantasia e questo vale anche per il nostro argomento.

L’origine di queste tecniche è l’India dove si chiamano mudra (posizioni delle mani) e sono state poi sviluppate in Cina mescolandosi al Qi Gong. Le posizioni delle mani aprono e chiudono un determinato “circuito” di energia ed ogni circuito produce effetti diversi. Così si può far circolare l’energia all’interno oppure trasformare le dita in vere e proprie antenne. Penso abbiate tutti in mente la posizione delle mani delle statue del Buddha. Le posizioni delle mani che andranno a formare poi i kuji-in e i kuji kiri (griglia rituale con i 9 tagli effettuati con le dita a forma di spada) è un sistema creato in Cina a partire dai mudra importati dall’India e mescolati con delle formule della magia rituale taoista.

La pratica del kuji kiri veniva quindi già usata dai monaci buddhisti in Cina, durante le meditazioni, e venne associata ad ognuno dei mudra una sillaba cinese, per un totale di 9 mantra. I nove suoni “RIN, PYO, TO, SHA ,KAI, JIN, RETSU, ZAI, ZEN” essendo di origine taoista, originariamente venivano pronunciati così: “CHU SHEN KAI TAI SHA JEN TUNG HUA TAO”, formando un classico incantesimo taoista, che può essere tradotto con “Le forze armate sono schierate contro i poteri del male”.

Indubbiamente i mudra e le formule magiche sono di originate dalla cultura indiana ma se pensiamo un attimo ai riti delle religione cattolica vediamo che in chiesa ad esempio si prega a mani giunte intonando delle parole già codificate… in fondo l’essere umano a diverse latitudini trova modi abbastanza simili di rinforzare lo spirito e chiedere aiuto a forze superiori. In realtà non viene creata in nessuno dei due casi “un’extra forza” ma si tenta di rimuovere i limiti mentali che restringono la quantità di energia disponibile al normale individuo.

Dalla Cina poi con il buddismo shingon e il monaco Kukai questi rituali si trasferirono al Giappone intorno all’anno mille. Lo Shugendo giapponese definisce “kuji in” l’uso dei nove mudra come sigilli, usati quindi nella loro singolarità per ottenere un determinato effetto. Il “kuji kiri” è l’uso della famosa griglia dei nove tagli che veniva eseguita prima di determinate pratiche fisiche come la passeggiata sui carboni ardenti o la meditazione in acque gelide. Dobbiamo però distinguere nettamente l’essenza dei Mikkyo kuji (del buddismo shingon) da quella dei Ninja kuji.

I Mikkyo kuji

I Mikkyo kuji (religiosi) guidavano il fedele all’annientamento dell’ignoranza e dell’illusione che ostacolavano la realizzazione e l’illuminazione (satori), mentre i Ninja kuji (e kiai) servivano a degli scopi precisi. (*) Si tramanda che uno speciale mudra più la ripetizione di “Go-ko-rai-to-sha-akuma-fudo” riuscisse a bloccare un nemico che attaccava oppure il “Tenryaku Uchu gasso” ancora usato nei kata dello gyokko ryu ninjutsu era un simbolo del Tao e serviva a comunicare inconsciamente la propria intenzione di non combattere: la sua funzione era simile ai segnali inconsci che lanciamo con il posizionamento del nostro corpo.

Naturalmente i segreti dei ninja kuji sono fruibili solo nella trasmissione da maestro ad allievo che ne trasmette l’essenza. In definitiva nessuna parola magica e intreccio di dita vi salverà dal pericolo, ma il cammino che essi facevano verso la maestria dell’essenza del kuji era una pratica mentale ferrea: concentrarsi su una cosa sola, era l’allenamento del loro spirito. In ogni caso entrare nell’occultismo mistico non è salutare. Bisogna sempre miscelare il misticismo con la comprensione (con la ragionevolezza diremmo noi occidentali). Occorrerebbe evitare ogni discrepanza tra pensiero ed azione, anche se per una piccola frazione di secondo, coltivando un cuore sincero. Ecco perché la parola ninja ha la radice “nin” che sta per “sopportare”. Ninniku vuol dire sopportazione in giapponese, i ninja non facevano ne più ne meno che andare avanti fino alla fine.

Come l’antico detto giapponese: “lavora duro per il tuo caro padre” (lavorare duro per qualcuno che ami), è come verbalizzare lo sforzo per qualcun altro, ecco la forza delle parole come prima manifestazione fisica di un pensiero, di un’azione, di un destino. I kuji sono stati fondamentali non tanto per quello che apparentemente sono, quanto più per lo sviluppo della concentrazione e della volontà a cui portavano le lunghe ore di mantra (jumon in giapponese).

C’è un ultimo appunto da fare a riguardo l’influenza del buddismo esoterico (shingon e tendai) su alcuni degli ultimi grandi maestri del secolo scorso che ci stanno molto a cuore: Nell’immagine sopra è presente Ueshiba Morihei (fondatore dell’Aikido) nella posizione Rin. Ci sono molte meno differenze tra i veri budoka di quello che si pensi, le differenze balzano agli occhi solo a chi non può guardare altro che la tecnica: quello che distingue un vero budoka è il cuore sincero, capace di andare avanti fino alla vera fine, senza curarsi di cioè che si dice di lui o di ciò che gli altri pensano, non come ad esempio gli stilisti che pensano solo al bell’apparire e conducono vite orrende.

(*) Nell’articolo si fa la distinzione tra il kujiho eseguito dai monaci del Mikkyo, come pratica religiosa, e il “ninja mikkyo”. Il punto è che l’uso “militaresco” del kujiho (detto anche Goshinpo o Marishitenho) non è mai stato un’esclusiva del ninjutsu, ma anche di molte tradizioni bushi. Quindi, la distinzione più corretta è tra il Kujiho religioso e quello “militare”
(Nota di Shiken Kan del 03/10/2013)