Le Scuole “esterne” utilizzano una energia (Jin, jing, Chin) grossolana, detta del “Cielo Posteriore”, che è l’insieme delle energie post-natali, quelle energie che costantemente rinnovate ed arricchite tramite la respirazione e la nutrizione hanno il compito di sostenere l’essere vivente fino alla morte.

Abbiamo analizzato questo concetto quando abbiamo descritto i “Tre Tesori” della Medicina Tradizionale Cinese, (in cinese, 三寶; sānbǎo) che sono Jing, la quintessenza energetica, l’energia vitale del Qi e la energia mentale ed emotiva Shen. La qualità e la durata della vita di ciascuno di noi, secondo la Medicina Tradizionale Cinese, è direttamente legata alla qualità e quantità di questi Tre Tesori, che permettono il mantenimento di un ottimale stato di nutrizione energetica dell’organismo nel rispetto della triade cielo – uomo – terra.

La differenza tra forza ed energia

E’ bene ricordare che lo Jing è una energia finita e limitata, la cui consistenza deve essere costantemente rinnovata e che è soggetta a cali, interruzioni e limitazioni e quindi, così come non è possibile affrontare un lungo viaggio con una automobile che abbia il serbatoio del carburante quasi vuoto, alla stessa maniera non si può affrontare un combattimento o un qualunque sforzo fisico prolungato se la vecchia energia si è oramai consumata e quella nuova non è ancora nata.

Nella pratica delle discipline interne come il Tai Chi Chuan o il Pa Kua Chang del Vecchio Stile Fu (ma non solo!) si deve usare l’intenzione mentale (Yi) e non la forza muscolare (Li) e dal principio sino al termine della pratica il movimento deve essere continuo, circolare e senza interruzioni, condizione che poi si trova ancora più rimarcata nella pratica del Liang Yi Chuan o del Tai Chi dei Palmi Fulminanti.

Nei Classici è detto che il movimento deve essere: “come lo scorrere continuo di un grande fiume” e la circolazione della energia (Jin, jing, Chin) deve essere simile “allo srotolarsi di un filo di seta dal bozzolo su cui è avvolto”, concetto che troviamo riassunto nel detto “Xiang Lian Bu Duan” (xiāng lián bù duàn, Hsiang lien pu tuan, 相连不断) che possiamo tradurre più o meno letteralmente come “restare costantemente connessi l’uno con l’altro” ( xiāng: ciascuno, reciprocamente; lián: collegare, connettere, con continuità; bù duàn: reciprocamente continuo, ininterrotto).

Connessi a chi? Connessi a cosa?

Questa traduzione assume particolare importanza alla luce della pratica eminentemente individuale delle delle discipline interne come il Tai Chi Chuan o il Ba Gua Zhang; se infatti il motivo dell’invito a rimanere “connessi” può essere facilmente intuibile se riferito a pratiche come il Tui Shou o il San Shou, in cui l’efficacia del confronto con un partner è basata in gran parte proprio sulla capacità del praticante di mantenere un contatto continuo con il partner, tale da poter cogliere le eventuali variazioni di forza, intensità e direzione del suo movimento per poterlo squilibrare e non essere a propria volta squilibrati, a prima vista l’invito a mantenere una connessione mentre si pratica una forma “a solo” potrebbe destare qualche perplessità: “Connessi a chi? Connessi a cosa?” ci si potrebbe chiedere.

Le risposte sarebbero molte, e tutte sono poco comprensibili a chi non abbia una sufficiente esperienza di pratica: innanzitutto connessi con sé stessi, potremmo dire: fare in modo che la Mente ed il Cuore siano in armonia con quello che il Corpo sta eseguendo, poi – rimanendo sul piano eminentemente pratico – potremmo sottolineare l’importanza di rimanere connessi al suolo, curando l’equilibrio, la postura ed il radicamento ad ogni movimento, condizione che possiamo migliorare attraverso la pratica di Zhan Zhuang o del Tom-ma, poi potremmo suggerire una connessione con un partner immaginario, visualizzando le eventuali applicazioni marziali di attacco o difesa di ognuna delle forme che pratichiamo (non a caso il Tai Chi Chuan fu definito dai primi occidentali che lo videro praticare com il “Pugilato con le ombre”) e poi – ricordando sempre la valenza tanto marziale (Wu) che di benessere (Wen) – così come visualizziamo l’applicazione marziale potremmo visualizzare l’effetto benefico che ciascuna forma praticata agisce sul nostro corpo, sulle articolazioni e sugli organi interni, rimanendo – come detto – connessi con noi stessi ed infine – ultimo ma non ultimo – la pratica deve essere condotta in maniera tale che le forme che eseguiamo in sequenza siano come perle collegate tra loro da un filo invisibile, che le tiene unite senza soluzione di continuità, dando così vita a movimenti coordinati, continui e sincronizzati tra loro.