“Hatsu Geiko” 初稽古è letteralmente il primo allenamento dell’anno e non solo contraddistingua la ripresa della pratica dopo un periodo di vacanza ma – come spesso accade quando si considerano le azioni compiute nel novero delle discipline tradizionali – ha un profondo significato simbolico.
Hatsu geiko dovrebbe esprimere determinazione ed entusiasmo, in modo da cominciare nel migliore dei modi il nuovo anno di pratica; segna inoltre un momento di passaggio, in cui lasciamo alle spalle il passato e ci prepariamo ad accogliere il futuro, un po’ come accade per il Soji, la pulizia rituale del Dojo al termine della pratica.
Chi ben comincia…
Come facciamo spesso, cominciamo la nostra analisi approfondendo il significato dei caratteri del termine utilizzato; “Hatsu geiko” 初稽古è composto da due termini. Il secondo termine – “geiko” nel nostro caso e keiko quando utilizzato da solo è composto da due kanji 稽古, il primo esprime l’azione di riflettere, meditare, prendere in considerazione, il secondo rende l’idea di qualcosa di antico e degno di essere ricordato, letteralmente qualcosa che arriva a noi grazie alla memoria orale di dieci generazioni. Keiko quindi, sebbene venga spesso tradotto come “allenamento” ha in realtà il significato più profondo di “riflettere sulle antiche usanze” (clicca QUI per ulteriori approfondimenti).
Altrettanto interessante è l’analisi del carattere “Hatsu” 初 che è formato da due parti; quella a sinistra raffigura un pezzo di stoffa, quella a destra è il pittogramma di una lama, che ritroviamo anche in tutti i kanji che indicano un arma da taglio. Nell’insieme quindi “Hatsu” 初 riproduce l’azione di tagliare un pezzo di stoffa, ovvero la prima azione da fare per cominciare a confezionare un abito e – per inciso – una azione che – una volta eseguita non permette ripensamenti, al pari di una traccia di inchiostro lasciata sulla carta da un praticante di Shodo.
Proprio per questa rappresentazione di una azione che segna l’inizio della realizzazione di un abito, opera che – ieri come oggi – richiede destrezza ed esperienza, il carattere “Hatsu” 初 è impiegato per esprimere più in generale l’inizio di una attività o il momento in cui si incomincia una opera, come appunto in “Hatsu Geiko”.
Capodanno, l’inizio dell’anno
Come in Occidente, anche in Giappone il Capodanno è una festa particolarmente importante e il carattere Hatsu appare in molti contesti all’inizio dell’anno: hatsu-hinode (prima alba), hatsu-yume (primo sogno), hatsu-geiko (prima pratica), hatsu-uri (prima vendita). Questi sono solo alcuni esempi in cui il prefisso Hatsu indica la prima ricorrenza dell’anno.
Questi momenti sono considerati speciali, segnando una pausa nella routine quotidiana, un momento in cui entrare l’anno con rinnovata determinazione e cominciare – come si dice da noi – “con il piede giusto”, rinnovando i propri propositi di praticare con costanza e dedizione, rafforzando al contempo il legame con i compagni di pratica, tanto che spesso – al termine dello “Hatsu Geiko”, può tenersi un piccolo rinfresco o una cena informale.
Una Tradizione secolare
In molte Scuole di Arti tradizionali giapponesi viene quindi osservato il rituale di Hatsu Geiko, riservando una particolare attenzione alla prima sessione di pratica del nuovo anno. Questa usanza ha avuto inizio nei tempi antichi dei samurai, intorno al 15 ° secolo, ed ha avuto un ulteriore impulso nei tempi moderni, intorno al 1885, quando Jigoro Kano, il fondatore del Judo, la adottò nel suo quartier generale come celebrazione del rinnovamento, della riconsacrazione e dello spirito.
Nello Hatsu Geiko dovremmo quindi dare il meglio di noi per contrassegnare con l’impegno e la dedizione l’anno che comincia e per questo ciascuno dovrebbe praticare al meglio delle proprie capacità prendendo molto sul serio questa prima sessione dell’anno, per esprimere chiaramente il proprio livello di esperienza e la determinazione a migliorare. Nello Shodō (書道, l’arte della calligrafia), il primo kanji che si sceglie di tracciare dovrebbe essere un carattere potente, pieno di significato e bellezza. Nel Cha-no-Yu(茶の湯, la cerimonia del tè) tutto il rituale dovrebbe essere eseguito con la massima attenzione ai dettagli e alla fluidità, dimostrando un’esibizione rilassata e fluida.
In tutte queste arti conta il primo, e solo il primo tentativo. Non c’è riscaldamento o sessione di pratica prima della prima. Si prepara l’ambientazione usando inchiostro e pietra per lo Shodō o acqua e tè per il Cha-no-yu . Ci si concentra facendo respiri profondi. Inspirare l’ispirazione ed espirare la performance. Inspirare per rilassarsi, espirare per manifestare lo spirito.
Come è facile immaginare, molte Scuole di Arti marziali in tutto il mondo osservano Hatsu Geiko, spesso celebrandolo con una sessione di pratica particolarmente intensa ed impegnativa che termina poi con un momento conviviale in cui il gruppo di praticanti condivide dolci e bibite per festeggiare il nuovo anno di pratica.
Ogni Dojo o organizzazione generalmente ha un proprio rituale più o meno codificato. Alcuni Dojo uniscono la formazione con dimostrazioni e assegnano anche promozioni ai membri più meritevoli, in altri Dojo la pratica viene svolte nella forma del “Ni Nen Keiko” o “Due anni di allenamento” che può includere da dieci a dodici ore di allenamento intenso, la cui lunghezza e fatica rappresentano simbolicamente il periodo di due anni, mentre un’altra interpretazione è che si debba praticare durante l’ultima ora dell’anno in corso e la prima ora dell’anno successivo, collegando i due anni senza soluzione di continuità.
“Kagami Biraki”, aprire lo specchio
A volte in occasione dello Hatsu Geiko si celebra anche il rito del Kagami Biraki (鏡開き), che letteralmente possiamo tradurre come “aprire lo specchio”.
Il “Kagami Biraki” si tiene ritualmente la seconda domenica di gennaio oppure il giorno 11, poiché i numeri dispari sono considerati fortunati. Momento particolarmente importante del rito è la offerta di Kagami mochi (鏡餅, letteralmente “torta di riso allo specchio”), un tipico dolce giapponese consumato in occasione del capodanno. Solitamente il Kagami Mochi è composto da due mochi sovrapposti, il più piccolo posto sopra il più grande, e un daidai (arancia amara) con una foglia attaccata sopra.
A completare il dolce possiamo avere un foglio di konbu e uno spiedino di cachi essiccati sotto il mochi. Il kagami Mochi viene posto su un supporto chiamato sanpō (三宝) sopra un lenzuolo chiamato shihōbeni (四方紅), che dovrebbe scongiurare gli incendi dalla casa per gli anni successivi.
Come molti termini giapponesi, il termine “Kagami Biraki” ha significati diversi. La traduzione letterale di “Kagami” è “Specchio” e “Biraki” significa “Aperto” o “Apertura” così come astinenza; cioè rompere. L’espressione si traduce come “specchio aperto, apertura dello specchio” o “cerimonia del taglio del riso” e la sua celebrazione sembra risalire al periodo Edo fa quando il quarto shōgun Tokugawa Ietsuna (1641-1680) prima di andare in guerra convocò un suo daimyō per condividere con lui un barile di sakè. Poiché, in seguito, si ottenne una rapida vittoria in battaglia, l’aprire un barile di sake in vista di un importante evento (sia esso militare, sportivo, sociale) divenne un simbolo beneaugurante e da allora la tradizione si continua a perpetuare.
Oggi la cerimonia del Kagami Biraki ha luogo non solo all’inizio dell’anno ma anche in occasioni importanti quali matrimoni, eventi sportivi, inaugurazioni o qualunque evento che valga la pena essere celebrato.
Come detto prima, in Giappone, durante i festeggiamenti per la fine dell’anno, il Kagami Mochi viene collocato su un altare Shintō o buddista o su un tokonoma, come offerta agli dei in visita, durante il Capodanno. Il mochi ornamentale è poi rimosso l’11 gennaio e viene spezzato in più frammenti prima di essere mangiato. E’ interessante notare che essendo stato esposto all’aperto per diversi giorni il Kagami Mochi è già alquanto fragile e sulla superficie possono essere presenti crepe e fessure. Il dolce non viene tagliato col coltello, perché tagliare è un gesto negativo – essendo associato al taglio dei legami tra le persone – ed è solitamente frantumato con un colpo di mano o con un martelletto.
Guardare lo specchio, guardare se stessi
Il rituale del Kagami Mochi è particolarmente importante, e non a caso lo si ritrova spesso al termine dello Hatsu Geiko, non solo per il suo carattere bene augurante ma anche per il suo profondo carattere simbolico.
Una leggenda giapponese racconta che un Kami (essere divino e soprannaturale) cadde in disgrazia presso gli altri dei a causa della sua natura particolarmente crudele. Questa divinità fu bandita e alla fine trovò rifugio in una grotta isolata dove si imbatté in un oggetto simile a uno specchio che lo ha costretto a guardarsi, riflettere sulle sue azioni guardando più a fondo dentro e cercare di capire perché fosse un individuo così crudele. Dopo moltissimi anni di riflessione personale, la divinità tornò dagli altri dei che notarono subito un grande cambiamento nei suoi modi e nel suo carattere.
Per questo motivo l’immagine speculare è stata spesso usata per simboleggiare la necessità di guardare al nostro operato come se ci guardassimo allo specchio, in modo da vederci per come siamo nella realtà e procedere lungo un percorso di auto-miglioramento.
Per questo la celebrazione del Kagami Biraki è diventata una consuetudine in molte arti marziali come Judo, Kendo, Karatedo, Aikido, e la sua ricorrenza dà ufficialmente il via all’anno del Dojo e, per gli studenti, rappresenta un rinnovamento dello Spirito e una sorta di riconsacrazione alla formazione.
In questa occasione ognuno dovrebbe fare una sorta di analisi della coscienza per comprendere come si sente veramente e com’è veramente nel profondo, riflettendo su noi stessi e sulle nostre azioni dell’anno precedente.