Ogni essere vivente, in natura, è soggetto al cambiamento. Che si tratti di una crescita impercettibile – come quella che trasforma in decine di anni una piccola ghianda in una imponente quercia – o più repentina, come nella vita delle effimere che dura poche ore, tutto cambia e si trasforma.
Come detto, alcuni cambiamenti avvengono in un breve lasso di tempo e sono facilmente percepibili, altri hanno un ritmo più dilatato e ce ne rendiamo conto solo dopo mesi o anni, ma il dato di fatto è che il cambiamento è un dato di fatto e la natura è ricchissima di esempi.
Ovviamente il cambiamento può avere diverse caratteristiche, può essere improvviso o programmato, voluto o subito, traumatico o piacevole, e così via.
Quando il cambiamento riguarda l’essere umano, la gamma di possibilità si amplia ulteriormente, e la gamma di esempi potrebbe essere virtualmente infinita, ma volendo schematizzare e accettando una sufficiente semplificazione, possiamo ridurre le motivazioni possibili in quattro grandi ambiti, che per comodità di esposizione possiamo esemplificare con uno degli esempi più evidenti del cambiamento, ovvero il ciclo annuale delle stagioni.
Le quattro stagioni del cambiamento
Possiamo così affermare che esistono quattro “stagioni del cambiamento”, intendendo con questa definizione i momenti nella nostra vita in cui siamo maggiormente predisposti a trasformare la nostra quotidianità, a cambiare qualche aspetto della nostra individualità psicofisica o emotiva, e crescere e ad evolvere
Se approfondiamo questo parallelismo stagionale, possiamo dire che cambiamo quando si verifica una delle quattro condizioni che analizziamo di seguito
Cambiamo quando siamo ispirati a farlo
Leggiamo un libro, vediamo un documentario o un film, assistiamo ad una conferenza oppure abbiamo uno scambio di opinioni con un amico o un conoscente e scatta la scintilla!
Ci si aprono davanti agli occhi nuovi scenari, intuiamo nuove possibilità, sentiamo che la nostra vita può percorrere nuove strade.
Come nella primavera la natura si risveglia, così in questo momento siamo certi che la nostra vita è pronta a darci i frutti che ci meritiamo.
Non sarà quasi mai facile e immediato, ma sentiamo che raggiungeremo questo risultato e che questo avverrà tanto prima quanto cambieremo il nostro modo di fare e di essere perché questo avvenga. Così come nulla può impedire al fiore di sbocciare ed al frutto di maturare, così quella scintilla che sentiamo dentro sappiamo è destinata ad accendere un fuoco destinato ad illuminarci la strada ed a scaldarci il cuore, a patto che facciamo quanto necessario per alimentarlo.
Ugo Foscolo, in una sua poesia, parlava dello “spirito guerriero che entro mi rugge”, come di una spinta intima ed irrefrenabile ad agire; evoluzioni epocali come le rivendicazioni della popolazione nativa o afroamericana contro le discriminazioni razziali sono nate spesso dalla iniziativa di poche persone , a volte addirittura di un singolo individuo, che “sente” che è giunto il momento di agire e – al pari del piccolo sasso che inizia a rotolare sul fianco di una montagna – da vita ad una valanga inarrestabile.
Cambiamo quando abbiamo imparato quello che ci serve per riuscire a farlo
Se la condizione precedente rappresenta la primavera della nostra vita, questa è l’estate, una stagione in cui tutto arriva a compimento, il lavoro dei mesi precedenti da i suoi frutti e godiamo dell’energia che ci dona forza ed entusiasmo.
A differenza di quanto avviene nel mondo animale o vegetale, in cui il cambiamento è ineluttabile e dipende poco o nulla dalle scelte del singolo individuo, nel caso dell’essere umano il cambiamento può essere voluto, programmato e studiato.
La storia è piena di personaggi di umili origini che con tenacia e perseveranza hanno studiato, hanno acquisito gli strumenti teorici e pratici necessari per cambiare in meglio la loro vita. Analfabeti giunti alla laurea, poveri orfani diventati miliardari, ragazzini secchioni diventati capitani d’industria; successi che non avvengono per caso ma solo a seguito di una serie di azioni mirate a conseguire gli strumenti culturali ed intellettuali necessari, azioni congruenti e finalizzate, perseguite con costanza e determinazione
Non basta lasciare il proprio lavoro di ufficio e desiderare di essere un bravo contadino per ottenere un buon raccolto ma è piuttosto necessario studiare manuali di agronomia e imparare da contadini più esperti.
Così come un frutteto curato quotidianamente da un contadino attento assicura un racconto qualitativamente e quantitativamente migliore di un frutteto abbandonato a sé stesso, così chi abbia contezza dei propri mezzi e delle proprie capacità può ottenere ciò che desidera e sa come e quando agire per ottenerlo.
Come nel caso di un raccolto agricolo, in questo caso (come in altri) perché il cambiamento si compia con successo, deve avvenire al momento giusto: non troppo presto, quando i frutti sono ancora acerbi, ovvero quando le condizioni necessarie non sono ancora presenti; non troppo tardi, quando i frutti saranno oramai marci o appassiti, ovvero quando le condizioni saranno “sprecate”.
Quante volte rimandiamo, temporeggiamo, procastiniamo un esame scolastico, una sfida lavorativa, un confronto familiare o sentimentale? Quante volte – al contrario – agiamo d’impulso volendo bruciare le tappe, con il risultato di vanificare quanto fatto sino a quel momento? Interrogarci con onestà su questi comportamenti potrà aiutarci notevolmente nel comprendere come, quando e perché cambiare.
Cambiamo quando abbiamo realizzato abbastanza da meritarci di farlo
Se la stagione precedente si focalizzava sulle fasi in qualche modo preparatorie, questa è – per certi aspetti – più incentrata su una presa d’atto consuntiva, comunque non disgiunta da quanto già detto.
Continuando con l’esempio stagionale, questo è l’autunno della nostra vita, una stagione in cui – volenti o nolenti – dobbiamo confrontarci con i successi ed i fallimenti (veri o presunti) della nostra vita, come nella proverbiale fiaba della cicala e della formica.
Abbiamo lavorato una vita, duramente e instancabilmente, abbiamo raggiunto successi professionali e agiatezza economica, per anni ci siamo detti che quando avremmo raggiunto un certo risultato avremmo finalmente tirato i remi in barca, ci saremmo goduti la pensione, ci saremmo dedicati alla famiglia, eppure quel momento sembra non arrivare, mai, continuiamo ad alzare l’asticella, continuiamo a spostare in avanti il traguardo che pensiamo di dover raggiungere.
I motivi possono essere molti e non possono certo essere approfonditi in un articolo come questo, possiamo però dire che possiamo (e a volte, dobbiamo) cambiare quando abbiamo fatto o ottenuto quello che ci serve per considerare compiuta la missione che ci eravamo prefissi; anche il più agguerrito soldato dovrà prima o poi andare in congedo, anche il manager più rampante dovrà prima o poi lasciare la sua scrivania d’ufficio ad altri. Perché questo avvenga senza traumi, perché questo sia un cambiamento voluto davvero e profondamente benefico, dobbiamo essere intimamente e sinceramente convinti che non ci stiamo arrendendo (anche se nella resa non vi sarebbe nulla di male) ma stiamo solamente “passando la mano”, avendo noi realizzato quanto ci eravamo ripromessi ed essendo pronti ad affrontare altri, nuovi ed entusiasmanti progetti di vita.
Cambiamo quando abbiamo sofferto abbastanza
Questa è la motivazione – almeno apparentemente – più dolorosa e meno piacevole, quella in cui il cambiamento è più una necessità che una scelta, più un obbligo imposto da altri che una nostra decisione.
E’ l’inverno della nostra vita, quello freddo e spoglio, quando tutto intorno a noi sembra freddo e morto e ci sembra quasi impossibile che di li a pochi mesi la vita tornerà a sbocciare.
Gioia, serenità e allegria sembrano parole prive di senso, ci sentiamo tristi, soli e demotivati e – come si suol dire – abbiamo toccato il fondo.
E’ a questo punto che dobbiamo scegliere se scavare per rendere ancora più profonda la depressione in cui siamo affondati oppure cominciare a nuotare per risalire in superficie.
Durante l’inverno il contadino previdente prepara il suo campo, pota i rami secchi, estirpa le erbe infestanti, rimuove i sassi che intralcerebbero il percorso dell’aratro. Certo non è felice del lavoro e della fatica che deve fare ma sa che questa porterà i suoi frutti; potrebbe lasciare tutto com’è, evirate sudore e stanchezza ma non otterrebbe niente di più, e quasi certamente avrebbe molto di meno, del raccolto precedente.
Così anche noi a volte cambiamo quando sentiamo di averne avuto abbastanza: relazioni affettive tossiche, rapporti lavorativi frustranti, quotidianità insoddisfacente che ci logorano ogni giorno di più sinché arriva il momento in cui – come in una vecchia pubblicità – gridiamo (più o meno metaforicamente) “fermate il mondo, voglio scendere!”.
Anche in questo caso, evidentemente, sebbene gli eventi esterni possano sembrare avere una influenza maggiore rispetto ai precedenti, cambiare è – e deve essere – una nostra scelta e non qualcosa che subiamo “obtorto collo”.
Medice, cura te ipsum
Questa frase latina esprime un concetto universale e pertanto sempre valido; tradotta letteralmente, significa “medico, cura te stesso” e si legge nel Vangelo secondo Luca (4, 23), anche se molto probabilmente deriva da un precedente testo ebraico. La possiamo immaginare – per rimanere nelle citazioni più o meno dotte – a coloro che danno buoni consigli dando al contempo cattivo esempio, a chi biasima i difetti altrui senza guardare ai propri, ai tanti che criticano la pagliuzza nell’occhio del vicino senza (voler) vedere la trave che è nel loro (ancora Vangelo di Luca, 6, 41).
Il concetto – come detto – è di natura universale, come ci racconta il favolista greco Esopo, che spiegava nel modo questo atteggiamento raccontando che gli uomini portano due bisacce, una davanti a loro, l’altra alle loro spalle: quella davanti è piena dei difetti altrui, che quindi sono sempre sotto i nostri occhi, mentre l’altra è ricolma dei nostri difetti, quindi invisibili ai nostri occhi.
Se riportiamo questo concetto all’argomento di questo articolo, potremmo allora soffermarci a pensare se, come e quando abbiamo effettuato un cambiamento e se, come e quando abbiamo criticato chi un cambiamento non lo ha effettuato anche se ritenevamo – più o meno a giusta ragione – che avrebbe dovuto farlo. Sulle motivazioni torneremo in un altro approfondimento, qui ci basterà dire che nell’ambito della Difesa Personale questo concetto è più interessante di quanto possa sembrare a prima vista.
Prima di tutto perché molte delle discipline impiegate nella pratica della Difesa Personale, soprattutto quelle di origine orientale, basano le loro tecniche proprio sulla applicazione del principio del cambiamento: dal Judo al Kung Fu, dal Ju Jitsu al Jeet Kun Do, dall’Aikido al Wing Tsun la lista di queste arti marziali potrebbe essere lunghissima e seppure diverse tra loro, tutte queste hanno nel cambiamento un punto strategico fondamentale, tanto nella teoria che nella pratica.
A quanto sopra aggiungiamo anche un’altra considerazione: molto spesso ci si concentra su nemici esterni più o meno reali e pericolosi, ci si iscrive a corsi di difesa personale temendo aggressioni che nella stragrande maggioranza dei casi non avverranno mai, abbiamo paura di sconosciuti solo perché parlano una lingua diversa o hanno un differente colore della pelle e poi… poi la cronaca ci racconta che una notevole percentuale di violenze è perpetrata da familiari e conoscenti, che rispetto alle aggressioni per rapina fanno più vittime gli incidenti d’auto causati da cellulari, ebbrezza alcolica e mancato uso di cinture di sicurezza, che ad attentare alla nostra incolumità fisica siamo troppo frequentemente noi stessi con abuso di alcolici e tabacco, scarso movimento fisico e altri comportamenti disordinati.
A questo aggiungiamo lo stress psicofisico causato da rapporti sentimentali, lavorativi e parentali a cui non possiamo o – più spesso- non vogliamo sottrarci, per tutta una serie di motivi più o meno validi.
Ecco allora che possiamo chiudere il cerchio ed esaminare il principio del cambiamento anche sotto questa luce: prima di voler diventare un combattente invincibile, prima di aspirare a sconfiggere qualunque aggressore, prima di immaginare di sventare qualunque ipotetica minaccia a noi o ai nostri cari, sarà forse in caso di interrogarci – anche stavolta in maniera sincera e onesta – su quanto sia opportuno cambiare nella nostra vita quegli aspetti che la renderebbero DAVVERO migliore, più sicura e più felice?
E’ una domanda che dovremmo farci a partire da oggi, perché il “comincio domani” è sempre in agguato ed è il modo più sicuro per non cambiare mai; è una domanda che dovremmo farci ogni giorno perché quello che valeva ieri non sarà più valido domani; è una domanda che dovremmo farci senza fare sconti a nessuno, nemmeno a noi stessi – ça va çans dire – non per condannare qualcuno ma per salvare ciascuno, a partire da noi stessi.
Potremo scoprire che non sappiamo ancora come vogliamo cambiare, potremo scoprire che non abbiamo ancora gli strumenti necessari o le risorse sufficienti per cambiare, potremo scoprire che abbiamo già sofferto abbastanza; qualunque risposta che otterremo o che non otterremo ci aiuterà a capire in che direzione orientare il nostro cambiamento.
Un cambiamento che quasi mai sarà rapido, facile ed indolore ma che certamente – quando finalmente avverrà – saluteremo con gioia, soddisfazione e rinnovato entusiasmo.