Nel mondo delle Arti marziali coesistono, a mio avviso, una serie di domande ricorrenti, le famose F.A.Q. che si possono racchiudere, con apprezzabile approssimazione, in due filoni principali: il primo è quello che gli esperti (veri o presunti) si scambiano tra loro, il secondo racchiude le domande ed i quesiti che gli allievi ed i principianti rivolgono agli gli esperti (sempre veri o presunti).

Come è facile immaginare, la suddivisione tra i due filoni non è così drastica, e molte sono le domande che possono collocarsi sia nell’uno che nell’altro senza grandi forzature. Tra i quesiti più ricorrenti, foriero spesso di polemiche e aspre discussioni, e certamente destinato a trovare una risposta diversa per ciascun interpellato, c’è il classico: “Come si riconosce un buon Maestro di arti marziali?”.

Premetto che personalmente credo che questa sia una domanda sostanzialmente mal posta, poiché presuppone si possa dare una risposta oggettiva ad un quesito soggettivo, ciò nondimeno si possono indicare alcuni fattori da valutare, che possono aiutare il principiante o il curioso ad orientarsi in un mondo dove spesso si incontra di tutto ed il contrario di tutto.

Personalmente credo sia imprescindibile la applicazione di quella che io ed alcuni amici indichiamo come “Legge di Grunf” (dal nickname di un caro e saggio amico marzialista salernitano) che si può riassumere, parafrasando il “Mutus Liber”, come “Vai, osserva, chiedi, valuta, scegli” ma per l’appunto, per poter valutare bisogna sapere “cosa” in effetti stiamo cercando, fattore assai spesso meno definito di quanto creda lo stesso cercatore.

In altre parole, credo che la risposta sia sostanzialmente soggettiva, ovvero il buon Maestro/Insegnante/Istruttore (tre termini con valenze ed implicazioni assai diverse tra loro, ma che ai fini della semplificazione nel presente scritto utilizzeremo praticamente come sinonimi) deve essere tale per me (o per chi pone la questione). Ovviamente ciò che per me può essere l’optimum per altri può essere insoddisfacente e viceversa, quindi ritengo utile prima di tutto cercare di capire “cosa” si cerca, prima di partire alla ricerca di “chi” può offrircelo.

Scopo di questo scritto è così quella di riportare nella prima parte alcune domande che il “cercatore” dovrebbe porre a se stesso, alfine di chiarirsi le idee, e poi suggerire alcuni parametri di valutazione, ricavati dalle tante discussioni lette e partecipate dal sottoscritto.
Ribadisco ancora una volta, a costo di essere noioso, che i parametri sono assolutamente soggettivi e che quindi quelli che io posso ritenere degni di attenzione possono essere per altri assolutamente secondari, senza che nessuno sia in torto per questo.

Innanzi tutto, bisogna dire che limitare la ricerca a “un buon Maestro” è riduttivo. Posso trovare un buon insegnante ma un gruppo di praticanti che non mi piace, posso trovare un ottimo istruttore di una disciplina che non incontra i miei gusti, posso trovare un buon Maestro, un bel gruppo di praticanti, un’Arte che mi piace ospitati in una struttura che per una serie di motivi mi impedisce di partecipare alle lezioni.
Ecco, quindi che già la domanda si allarga, il campo di esame diventa più vasto ed i fattori da controllare più numerosi.

Cominciamo però con il chiarirci le idee, chiedendo a noi stessi e rispondendo con la massima sincerità (precisazione non inutile, credetemi…) quanto segue:

1) Quale aspetto dell’Arte mi interessa?
Ci sono discipline più orientate all’aspetto marziale, altre più attente al benessere fisico ed emotivo, quelle che prevedono una pratica con esercizi codificati e quelle che prediligono il combattimento libero con poche regole; ancora ci sono discipline che focalizzano la loro attenzione sulla cosiddetta “Difesa da strada” e quelle orientate alle competizioni sportive, quelle con espliciti richiami a tradizioni vecchie di secoli e quelle che della storia antica non sanno che farsene.
Definire cosa ci interessa non deve essere solo il tentativo di avverare il sogno di quando eravamo bambini (non solo, almeno…) ma anche chiarirsi le idee su cosa si voglia ottenere dalla pratica.

2) Quale rapporto vorrei con l’insegnante?
C’è chi nell’insegnante vede quasi un padre e chi lo reputa un mero fornitore di servizi, chi tende a stabilire un rapporto di amicizia e confidenza e chi al difuori del corso non ha interesse alcuno a sapere niente del suo istruttore, c’è chi gli da del “tu” appena lo vede per la prima volta e chi usa il “Voi” dopo anni di frequenza.

3) Che tipo di didattica mi interessa?
Ci sono insegnanti che durante la lezione fanno qualche battuta di spirito e quelli a cui non scappa un sorriso neanche a pagarli, quelli che menano gli allievi per dimostrare coi fatti che sono bravi e quelli che sono anche troppo delicati.

4) Quanto è importante il luogo di pratica?
C’è chi pratica in garage seminterrati attrezzati alla meglio e chi tiene corsi in palestre ipermoderne, chi si sciacqua dopo l’allenamento con la canna d‘irrigazione e chi ritiene imprescindibile sauna e massaggio.

5) Quanto e quale tempo posso dedicare alla pratica?
E’ importante chiarire questo aspetto per poi confrontarlo con le possibilità offerte dal corso. C’è chi vorrebbe allenarsi nella pausa pranzo e chi preferisce allenarsi nella tarda serata, chi vorrebbe frequentare solo dei corsi intensivi nel fine settimana e chi preferisce praticare un’ora ogni giorno.

6) Quanto posso/voglio spostarmi per andare a praticare?
Solo pochi fortunati hanno il luogo di pratica sotto casa, per tutti gli altri è necessario fare un po’ più di strada, a volte attraversare la città, altre volte percorrere centinaia di chilometri ogni volta. Anche in questo caso è fondamentale essere consapevoli delle proprie possibilità (ad esempio, un giovane praticante che non abbia la patente deve verificare se ci sono disponibili mezzi pubblici o familiari che possano accompagnarlo)

7) Quanto deve essere intensa la pratica?
Come nel film “Fight Club”, presentarsi in ufficio la mattina pieno di lividi e con un occhio nero può causare qualche problema; allo stesso modo la “semplice” slogatura di una spalla può essere un inconveniente grave per un chirurgo o per un violinista. D’altra parte, una pratica troppo blanda può essere insoddisfacente e darci l’impressione di stare perdendo tempo.

Insieme a questo aspetto, va valutato il rapporto tempo/risultato che desideriamo; pensare di raggiungere traguardi importanti in breve tempo significa che abbiamo visto troppi film d’azione e/o che stiamo sopravvalutando le nostre possibilità, il che ci porta a chiederci…

8) Quali sono le mie condizioni fisiche?
Se ho passato i primi quarant’anni della mia vita senza una attività fisica degna di nota e svolgendo un lavoro d’ufficio, ben difficilmente muscoli ed articolazioni saranno in grado di farci eseguire acrobatici volteggi o atletiche spaccate. Se abbiamo il fiatone alla seconda rampa di scale di casa, difficilmente potrò arrivare alla fine della maratona di New York.

Passiamo ora a qualche domanda da fare a chi ci offre un corso ed ai fattori da prendere in esame durante la famosa “lezione di prova”:

9) Chi è il Maestro del Maestro?
Grazie a scanner, stampanti a colori e programmi di fotoritocco oggi chiunque può “costruirsi” un passato più meno credibile, preparandosi diplomi da Gran Maestro, auto-ritraendosi con un fotomontaggio di fianco ad un Capo Scuola mai incontrato di persona e così via. D’altra parte l’accesso a internet permette oggi di fare verifiche veloci e precise, un tempo impossibili. Per quanto possa sembrare efficace e convincente l’istruttore che avete incontrato e credibili diplomi e certificati appesi alle pareti, informatevi (con discrezione e senza avere un atteggiamento troppo inquisitorio) su chi sia il suo insegnante, di quale associazione o federazione faccia parte, a quale scuola faccia riferimento.

10) Quali sono i costi da sostenere?
Oltre alla iscrizione ed alla assicurazione annuale ed alla retta mensile, a volte all’allievo vengono richieste altre spese, in alcuni casi praticamente obbligatorie: divise e/o attrezzature da acquistare esclusivamente dall’insegnante ad un prezzo molto più alto da quello di mercato, materiale didattico (dispense, libri, DVD), passaggi di grado, patentini, distintivi e seminari sono solo alcuni degli esempi più comuni.

11) Chi insegna DAVVERO?
Capita a volte che l’insegnante con cui parliamo sembri avere il dono della ubiquità, dato che sembra riesca a dirigere due o più corsi nello stesso momento in luoghi diversi e distanti tra loro. Il trucco sta nel fatto che spesso l’insegnante è – ovviamente – presente solo in un luogo, delegando a degli assistenti la direzione degli altri corsi. Niente di male, se gli assistenti sono preparati, ma è giusto saperlo e regolarsi di conseguenza.

12) Come è impostata la didattica?
Un primo fattore da valutare è il numero medio di allievi del corso. E’ evidente che più sono gli allievi meno tempo l’insegnante potrà destinare a ciascuno di loro. Personalmente ritengo che per un corso normale il numero di allievi non debba superare le venti persone, specie se con differenti livelli di preparazione. Aldilà della “quantità” di tempo che l’insegnante dedica a ciascun allievo, è importante la “qualità”: l’insegnante segue tutti o si limita a insegnare solo a qualcuno (spesso i più esperti), lasciando i principianti in balia degli allievi già rodati? Anche in questo caso, la scelta non è negativa in assoluto, ma è importante sapere sin dall’inizio come stanno le cose.

13) E se mi faccio male?
Brutto da dire, ma può succedere. Normalmente tutte le palestre sono coperte da assicurazione e non dovrebbero avere alcun problema a mostrarvi una tabella riportante gli estremi degli infortuni coperti e dei relativi indennizzi. Controllate sempre, perché a volte c’è chi pur di risparmiare qualche euro stipula assicurazioni con compagnie fantasma o con massimali ridicoli.
Questo fattore è particolarmente importante nel caso di discipline che prevedano il contatto fisico tra i praticanti.

Sempre toccando ferro, non fa male informarsi su quali e quanti infortuni si sono verificati in palestra, non fosse altro che per avere una idea di massima dei rischi potenziali a cui ci si espone.

Altra cosa da verificare, se possibile, è la presenza di un medico durante gli orari di pratica, o quanto meno di una cassetta di pronto soccorso e di personale ABILITATO ad eseguire una medicazione o un intervento di primo soccorso (ad esempio, un Volontario della Croce Rossa).

14) Quali sono i tempi medi per raggiungere traguardi specifici?
Ciascun praticante è ovviamente un caso a sé, ma anche alla luce del precedente punto 7), ci sono per ogni scuola dei tempi medi per raggiungere dei risultati specifici. Ad esempio, prendendo in esame una disciplina giapponese tipo Karate, Judo, Jujutsu o similari, diffidate da chi vi dica che per raggiungere la cintura nera basta un anno, così come è sospetto qualcuno che “allunghi il brodo” oltre i dieci anni di una pratica costante e proficua.

15) Siamo tutti uguali, o c’è qualcuno più uguale di altri?
Capita a volte che, oltre al “corso base”, l’istruttore offra lezioni private, corsi extra, seminari riservati e cose simili. Ancora una volta, tutto lecito e normale, se i patti sono chiari in partenza. Ovvero, se qualcuno vuole praticare di più e/o avere lezioni private e riservate è giusto che ne abbia la possibilità, meno corretto è che chi partecipa al solo “corso base” sia poco più di un limone a cui spremere la quota mensile ed a cui venga insegnato solo il minimo indispensabile, non perdendo occasione di magnificare le impressionanti e proficue lezioni disponibili con il pagamento di un piccolo extra…

16) La pratica comincia e finisce nello spogliatoio
Non è certo indispensabile che tutti i partecipanti ad un corso debbano essere buoni amici tra loro, ma certo se prima e dopo la pratica nello spogliatoio non ci si saluta neppure, la situazione è un po’ anomala. Considerate sempre che potenzialmente voi mettete la vostra incolumità psicofisica nelle mani di un’altra persona (e viceversa…) e quindi se non c’è un minimo di fiducia e confidenza tutto diventa un po’ più difficile. E’ certamente da evitare – al contrario – un atteggiamento troppo sbracato, ma un clima di pratica sereno e amichevole è certamente un requisito più che apprezzabile.

17) Un albero si riconosce dai frutti
Diretta emanazione del punto precedente. Spesso gli allievi “dicono” del loro insegnante molto più di quanto si creda. Disponibilità o arroganza, prepotenza o gentilezza degli allievi non di rado riflettono quella dell’istruttore. Non è una regola infallibile, ma conviene tenerla presente.
Meglio ancora se riuscite a contattare un ex allievo, che però non abbia motivi di risentimento verso l’insegnante e che non abbia smesso di praticare dieci anni prima, che vi possa un po’ raccontare in maniera obbiettiva e scevra da eventuali “sindromi di Stoccolma” che aria tira nel gruppo.

18) Se una cosa è troppo bella per essere vera, probabilmente non è vera
Diffidate da chi vi promette miracoli o afferma di essere l’unico ed il solo a detenere la Verità Suprema. Se esistesse l’Arte marziale perfetta, praticheremmo tutti quella, purtroppo o per fortuna così non è. Se qualcuno è disposto a condividere per una modica somma di denaro importanti segreti custoditi da millenni e solo a lui rivelati, cominciate a chiedervi se non siete sul set di un film di seconda categoria.

19) Val più la pratica o la grammatica?
Aver imparato a memoria migliaia di ricette non fa di noi dei buoni cuochi, questo è vero, ma da un insegnante è giusto attendersi un minimo di preparazione teorica. Certo non è necessario per chi insegna Judo saper leggere il giapponese antico, ma quanto meno un minimo di cultura (storia della disciplina, significato dei nomi delle tecniche, ecc.) è indispensabile, quanto meno per contestualizzare quello che viene insegnato in pratica.

Altrettanta perplessità dovrebbe suscitare chi si trincera dietro discorsi fumosi e paroloni roboanti rifiutandosi però di dimostrare in pratica cosa sa fare, o dichiarandosi disposto a farlo solo con suoi allievi. Se un insegnante è in grado di fare il suo mestiere, sa come mostrare ad un inesperto curioso in buona fede il principio di funzionamento – ad esempio – di una leva articolare, senza necessariamente rompergli un braccio.

20) Anche una non risposta è una risposta
Con buona pace della tutela della riservatezza e quant’altro, se vi viene rifiutata una risposta, fate suonare un campanello di allarme. Se avete posto la domanda in maniera corretta ed educata (perché avete posto la domanda in maniera corretta ed educata, vero?) allora la non-risposta può significare che forse (e ribadisco forse) c’è qualcosa che non va.

Le informazioni così acquisite vanno valutate con attenzione, specie se dal punto di vista tecnico non abbiamo conoscenze o esperienza tale da poterle valutare in maniera opportuna. A questo punto può tornare utile il confronto con altri praticanti, specie attraverso forum di discussione su internet. Pur consapevoli che le impressioni sono sempre personali, se dieci praticanti su dieci esprimono forti dubbi su un insegnante che tanto ci ha entusiasmato, non faremmo male a farci venire qualche dubbio ed approfondire la questione…

Dopodiché, fatte tutte le verifiche del caso, ricordiamo sempre che il “fattore fortuna” conta sempre tanto, e che anche i progetti migliori possono naufragare così, scegliamo chi ci convince di più, incrociamo le dita e cominciamo a praticare, consapevoli che solo così avremo la possibilità di verificare quanto le nostre supposizioni fossero fondate.