La maggior parte di coloro che praticano Arti marziali hanno cominciato il loro percorso per una più o meno reale necessità di migliorare le proprie capacità di autodifesa. E’ altrettanto vero che la maggior parte di coloro che hanno continuato a praticare Arti marziali lo hanno fatto anche quando si sono resi conto che la loro necessità di migliorare le proprie capacità di autodifesa non era una priorità reale ed effettiva.

Le affinità e differenze tra autodifesa e arti marziali hanno infiammato nel passato forum e mailing list dedicate, oggi social network e piattaforme video, senza che la questione possa mai dirsi definitivamente conclusa.

Basterebbero queste due considerazioni dallo scoraggiare chiunque ad affrontare un siffatto argomento con la pretesa di fornire una risposta definitiva e universalmente accettata, ma non di meno questo può essere un ottimo spunto per riflettere sulle motivazioni della nostra scelta e su quelli che sono i limiti e le possibilità offerte dalla disciplina che pratichiamo.

In estrema sintesi possiamo dire che la maggior parte degli istruttori di tecniche di Difesa Personale traggono il loro bagaglio tecnico da una o più Arti marziali, distillando da queste i principi e le applicazioni più adatte al loro obbiettivo. D’altra parte, la maggior parte di chi oggi pratica Arti marziali tradizionali, vede nella sua disciplina più un veicolo in grado di offrire la possibilità di un percorso di automiglioramento a 360°, da realizzarsi quotidianamente e indipendentemente dalla necessità di affrontare malaugurate aggressioni fisiche.

A testimonianza di quanto la questione sia antica e universale, dopo il video troverete due citazioni; una più breve di un Maestro orientale, l’altra più lunga di un schermidore occidentale. A ciascuno di noi il trarre le conclusioni che ritiene più opportune!

“L’arte del pugno permette in primo luogo di rinforzare il potenziale di salute, in secondo luogo di controllare un’eventuale aggressore, in terzo luogo apre lo spirito… Infine permette, talvolta, di modificare il corso del destino.”
(Sun Lutang)

Lasciate che la scherma sia creduta uno sport e si comprende come una determinata parte dell’opinione pubblica si sforzi di dimostrare che i mezzi occorrenti a produrre il diletto e lo svago non devono gravare sulle spese dello Stato, ma esclusivamente su quelli che desiderano averli.

Basterebbe, intanto, riflettere all’assiduità e alla perseveranza che si richiedono per diventare uno schermitore, al periodo di tempo che occorre impiegarvi, al corredo di cognizioni sulla tecnica dell’arte, indispensabile per bene svolgerla nell’applicazione, all’allenamento non solo muscolare ma anche intellettuale che bisogna conseguire, a tutto l’insieme di preparazione, di continuità, di studio intenso e progressivo per raggiungere la forma schermistica, e si resterebbe convinti che la scherma non è uno sport, ma una scienza educativa.

Anche la ginnastica, allora, potrebbe ritenersi uno sport, mentre la metodica e ragionata applicazione di ogni movimento muscolare, negli esercizi che la compongono, dimostra la sua funzione educatrice nello sviluppo del fisico e nel perfezionamento degli organismi.
La scherma può diventare uno sport, un mezzo di distrazione dagli affari, dalla politica, dalle occupazioni della vita pubblica, e quindi una ricreazione dello spirito e della mente, per cui, essendovi stato educato dalla giovinezza e non avendone smesso la pratica, dedica giornalmente, o a brevi intervalli, una mezz’ora di tempo ad un assalto. I risultati della educazione schermistica sono acquisiti e si mantengono con l’esercizio; la pratica dell’armeggiare, divenuta abituale, fa desiderare di misurarsi con l’uno o con l’altro, vuole la varietà nei competitori, e la soddisfazione che procura quel breve periodo di lotta ad armi cortesi, in cui l’organismo tutto s’impegna, coi suoi nervi, coi suoi muscoli e con la volontà, dà l’apparenza di sport a quanto è frutto di un insegnamento metodico e disciplinato.

Di massima, adunque, la scherma non è uno sport; farla apparire per tale è un danneggiarla molto nella sua essenza. Il giuoco sportivo segue gli alti e bassi del favore del pubblico, i capricci della moda; si accentua nelle innovazioni per poi essere trascurato e sostituito da altro. E – conveniamone – la scherma è troppo antica e troppo seria perché possa confondersi, senza scapitarci, con gli esercizi che si adattano alle incostanti preferenze delle masse.
(Edoardo de Simone , “Pedagogia della scherma”, 1907)